“Sinceramente bugiardi” è il capolavoro del primo Ayckbourn quello più farsesco ma anche dotato di uno stupefacente virtuosismo nel costruire una pièce irresistibile con il minimo dei mezzi: un banale equivoco e due coppie appartenenti a generazioni diverse. Tutto ruota attorno ad un tema proprio della farsa: le bugie dei personaggi e gli equivoci che esse provocano in un mondo apparentemente ordinato. Philip, maturo uomo d’affari, vuole passare un weekend con la sua giovane amante Ginny che ha una relazione seria (il matrimonio è in vista) con il giovane e squattrinato Greg. Quest’ultimo ha qualche dubbio sulla fedeltà della ragazza, come ne ha anche Sheila, moglie paziente ma non ingenua, sul marito Philip. In una situazione di questo genere ,Greg si presenta nella casa dei due maturi coniugi, credendo di parlare con i due genitori della sua fidanzata e annunciando il matrimonio. Philip, a sua volta, è convinto che Greg sia l’amante della moglie. Alla fine la situazione diventa irresistibile: Ginny finisce con l’apparire figlia dell’amante Philip mentre Sheila passa per la madre illegittima della ragazza e i colpi di scena non si contano. Ma tutto rientra nell’ordine e nella normalità come è buona regola della commedia inglese. Solo un paio di pantofole, attribuite ora ad un personaggio ora ad un altro, lasciano intuire che l’ happy end della coppia giovane, il matrimonio, corra qualche pericolo.
Una straordinaria pièce che davvero riconcilia con il teatro comico, oggi troppo spesso degradato da certa comicità di marca televisiva. In questa commedia c’è tutto il mondo di Ayckbourn, la cui comicità nasce dal contrasto fra i contrattempi in cui si trovano i personaggi e le loro reazioni talvolta del tutto spropositate. E’ indubbiamente una comicità di situazione, ma sempre lontana da ogni forma di superficialità e di clichè. Musiche, scene e costumi daranno un apporto fondamentale a questo viaggio nella straordinaria comicità di Ayckbourn e nelle rocambolesche vicende dei suoi personaggi . Messaggio implicito in Ayckbourn è, sempre e comunque, che finché si riesce a ridere della propria paralisi comportamentale e sociale, c’è speranza.